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BARI, LA SENTENZA ARRIVA DA LA SPEZIA: GRUPPO FRAGILE TRA LUCIDITA’ E SMARRIMENTO

di Pierpaolo Paterno

Ancora una volta, a La Spezia il Bari ha fallito l’appuntamento con la crescita, sprecando l’occasione di dare continuità a un momento che sembrava preludere a una vera ripartenza. Contro un avversario in crisi e costretto in dieci per tutta la ripresa, i biancorossi hanno dilapidato una vittoria già apparecchiata, dimostrando di non avere ancora l’anima di una squadra vera.

Il copione è sempre lo stesso: vantaggio conquistato, ritmo che cala, fiducia che evapora. Poi la confusione, i cambi che non incidono, l’atteggiamento che si svuota. È la cronaca di un’auto sabotaggio sportivo che dura da mesi. Il risultato è un punto sterile, che pesa come un macigno perché conferma il lungo digiuno di vittorie lontano dal San Nicola – nove mesi – e, soprattutto, la cronica incapacità del Bari di gestire le partite in cui tutto sembra dalla sua parte. Non basta più parlare di sfortuna o di episodi. La realtà è che questo gruppo continua a rivelare fragilità profonde. Manca il carattere, manca la cattiveria, manca la convinzione di chi vuole imporsi. Una superiorità numerica di quarantacinque minuti, invece di diventare una condizione favorevole, si è trasformata nell’ennesimo alibi. Non c’è stato dominio, non c’è stata fame. E l’immagine finale è quella di una squadra spenta, svuotata, più preoccupata di non sbagliare che desiderosa di vincere.

Fabio Caserta, dal canto suo, non è riuscito a cambiare il volto della squadra con i suoi interventi dalla panchina. Le sostituzioni hanno finito per aumentare la confusione tattica, non per ridurla. In mezzo al campo, poi, si è registrato ancora una volta il solito corto circuito: Antonucci, trequartista designato per accendere la luce, è rimasto inghiottito nella nebbia del “Picco”; Castrovilli, pur generoso, ha faticato a dare continuità al gioco; la manovra si è fatta lenta, prevedibile, sterile. In avanti, Gytkjaer e Moncini hanno provato a lottare, ma spesso troppo isolati, senza rifornimenti adeguati.

Eppure, l’inizio era stato incoraggiante. Il colpo di testa di Gytkjaer, su angolo calibrato di Verreth, aveva regalato al Bari l’illusione di una serata finalmente diversa. Il danese, al terzo gol stagionale – dopo quelli contro Entella e Cesena – aveva confermato di essere il riferimento più affidabile dell’attacco biancorosso. Ma anche la sua prova, concreta e generosa, non è bastata a salvare l’immagine di un gruppo che continua a non avere spina dorsale.

Il pareggio di La Spezia è più che un semplice incidente di percorso: è la spia di un problema profondo. Non è tanto il risultato a preoccupare, quanto la sensazione di un’involuzione mentale e tecnica. La squadra gioca a intermittenza, non regge la pressione, smarrisce fiducia non appena l’inerzia cambia. In un campionato che premia compattezza e continuità, il Bari continua invece a oscillare tra momenti di lucidità e fasi di inspiegabile smarrimento.

I numeri parlano chiaro: due punti in cinque trasferte sono un bottino da bassa classifica. E, dopo il breve entusiasmo seguito ai successi su Mantova e Cesena, la realtà si è ripresentata con tutta la sua crudezza. La crescita si è fermata sul nascere, i segnali positivi si sono sciolti nel disordine di un secondo tempo senza idee. Nemmeno il presunto rigore negato a Moncini o l’espulsione di Kouda possono giustificare una squadra che, ancora una volta, ha rinunciato a vincere nel momento decisivo.

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